Viaggio nella narrativa di Beatrice Benicchi // Intervista

Beatrice Benicchi è una nuova voce della narrativa italiana contemporanea. Un’autrice ironica e particolare, capace di farci credere con naturalezza alle menzogne dei suoi personaggi.

Non per cattiveria, il suo romanzo d’esordio, edito da Feltrinelli Gramma, si muove tra la verità e l’immaginazione, come un desiderio indelebile. Raccontare bugie può aiutare a crescere?

Beatrice è nata nel 1995 a Lucca, vive a Rimini e si occupa di comunicazione; insegna scrittura creativa e racconta dei suoi viaggi su Inland Magazine.



Fin da bambina, mi sono tenuta compagnia attraverso le storie, ero figlia unica e avevo una brava maestra che mi spingeva a tenere diari e a raccontare. Credo però di aver iniziato a scrivere davvero, con l’intenzione di scrivere bene, nelle lettere alla mia migliore amica. E anche nei temi che facevo di nascosto ai miei compagni di classe. Dovevo mettermi nei loro panni, parlare come se parlassero loro: erano dei personaggi, ma dovevano essere il più credibili possibile.



Non per cattiveria nasce per raccontare un sentimento, o addirittura un pre-sentimento: quello di essere speciali. È ambivalente, comune ma pericoloso, perché se da un lato desideriamo solo che gli altri lo riconoscano, dall’altro vogliamo confonderci, somigliarci il più possibile. Volevo raccontare una storia che parlasse dei tentativi di rinascita e riscatto che passano attraverso la menzogna. Un mondo scaltro, astuto e sentimentale, che agisce per sopravvivere a sé stesso. E non è mai per cattiveria, appunto, ma per solitudine, per amore e giovinezza.



Credo che tutto si coltivi, ma il seme dev’esserci già prima. Forse il mio, più che nelle parole, sta
nella fantasia. Studiare scrittura mi ha aiutato a metterla nei binari, a non perdermi, a non
innamorarmi delle cose che non funzionano. Ecco: la tecnica più che altro ti dice bene cosa non funziona; poi, per trovare il bello, devi scavare dentro di te.



Sarà banale, ma il primo consiglio è leggere. Non consiglierei a tutti di leggere, c’è chi proprio lo detesta e si addormenta subito, ma se vuoi scrivere devi leggere per forza. Il secondo consiglio invece, che hanno dato prima me, è di non essere mai giudicanti. Spesso immaginiamo che le opinioni siano la cosa più personale da mettere nel piatto, e invece quello che pensiamo è spesso quello che pensano tutti. Come lo vediamo, le parole che possiamo usare, il nostro sguardo, invece no.



Ah, grazie alle coincidenze. Avevo l’agente giusto al momento giusto, cioè quando Feltrinelli ha deciso di lanciare il progetto Gramma. Mi hanno chiamato mentre ero sul Caucaso ed è iniziato tutto così. Quando sono tornata li ho incontrati, ci siamo mangiati un cannolo siciliano e ho realizzato quanto avessi avuto fortuna. Poi, ci siamo messi a lavorare sul serio.



Sono sempre stata circondata da persone che facevano arte o musica, nella mia famiglia si suona e si scrivono canzoni, a venticinque anni ho fatto da assistente a un’artista e forse mi sono messa a scrivere proprio perché non ero brava né a cantare né a disegnare, però avrei voluto. Ora disegno e canto con la libertà di chi può farlo male. Con una sorta di resa gioiosa.



Il bosco, la montagna e i prati sono gli unici posti in cui, in solitudine, trovo la pace. Sta nel camminare, nel guardare le cose, toccarle, scavare e scoprire che nel mentre non è successo niente di che. È solo scorso il tempo. Mio nonno è nato sui monti, mia madre mi ha cresciuta negli oliveti e ora, in una discesa inesorabile, sono arrivata a vivere tra i palazzi, in una città di mare. Che beffa. Prima o poi risalirò di sicuro, mi dico, e per sempre.



Hai ragione, questo libro non parla di viaggio, ma alla fine mi sono detta che invece forse sì, in Non per cattiveria c’è il viaggio più antico e difficile di tutti: quello per tornare a casa. Ho un collettivo che si chiama Inland, che è un progetto editoriale (ecco il perché di Inland Magazine) ma anche un’idea, una maniera di andare per il mondo. Ogni anno scegliamo un paese poco battuto dalle rotte turistiche, ci viviamo per un mese e poi lo raccontiamo; quello che viene fuori lo trasformiamo in una specie di rivista-libro che raccoglie le storie degli abitanti del posto.

Sono esperienze che ti cambiano, aiutano a ridimensionare le cose, a trovare nuove misure per la paura, la ricchezza e la felicità. Onestamente credo sia una delle parti più belle della mia vita. A volte scrivere ti chiude in casa, nei tuoi pensieri, e così viaggiare ti costringe a fare i conti con gli altri, a dimenticarti di te. È un bene. Forse per questo anche con il libro ho viaggiato tanto, quasi sempre con il mio furgone, nelle province di tutta Italia. Perché l’unico modo per staccarsi dal proprio lavoro è parlarne con gli altri, far sì che possano dire la loro, e tu possa capire cose che non sapevi prima. Così facendo si aggiungono pezzi, pezzi importanti, che non si possono mai aggiungere da sé.

Beatrice Benicchi
@beabenicchi
PH: Omar Iannuzzi
@curvadritta

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