Be Forest: un eco lontano coperto da un battito antico, presenze sfuggenti che assumono forme distorte nella notte; la foresta non è là fuori, è sempre stata intrappolata dentro di noi. L’unica cosa da fare adesso è chiudere gli occhi e lasciarsi portare via. Dream Pop o Shoegaze che sia, i Be Forest sono abili creatori di scenari interiori. Fidatevi di loro. Buon viaggio.
Siete timidi?
Più che timidi ci definirei riservati. Ed è un aspetto che, oltre a caratterizzarci personalmente, ci accompagna anche nei live.
Il nostro approccio con il palco non vuole essere una chiusura verso il pubblico; è piuttosto un modo di renderci “trasparenti”, per far sì che le canzoni possano connettersi direttamente con le persone. Nel nostro caso non è la band a parlare di sé attraverso la musica, in una sorta di monologo autoriferito, quanto la musica che tenta di comunicare se stessa. Noi siamo solo il mezzo.
Qual è il miglior posto dove nascondersi?
Ci si può nascondere nelle cose che ti fanno stare bene e in cui ci si riconosce, che si trovino queste in vecchie pagine di un libro riletto mille volte o in un luogo magico di un film di cui si conoscono tutte le battute. Quando ci si sente persi anche comporre aiuta a ricollegarsi con ciò che si sta cercando.
O, al contrario, per trovare un luogo protetto dove ri-conoscersi può essere necessario cambiare tutto, togliere la testa da sotto il cuscino e buttarsi a capofitto in qualcosa che non si conosce affatto. Quando percepisci di essere un estraneo nella tua casa, alle prese con la tua quotidianità, allora forse non è quella la tua casa.
Il posto più inquietante/strambo dove vi è capitato di suonare?
Andiamo a colpo sicuro. Athens, Ohio, la notte di Halloween. Sapevamo di dover suonare come ospiti di un party di qualche confraternita e ci immaginavamo già con i bicchieri di carta colorati in mano, riempiti di qualche strana bevanda, di quelle fatte in casa che si versano con mestolo. Abbiamo passato un pomeriggio dentro ad un negozio per trovare il giusto travestimento…
Ci siamo trovati nel più freddo e fangoso scantinato d’America, con un vecchio frigo pieno di birra e niente che facesse pensare ad una festa. La stanza era piena di persone plumbee, non troppo preoccupate di farci sentire i benvenuti.
Nessuno ci ha rivolto la parola fino a che non è stato il nostro turno di suonare; a quel punto è comparsa un’ampia scelta di strumenti e amplificatori da poter usare, forse dei cocktail e le persone si sono mostrate disponibili ed aperte ad ascoltare il nostro concerto nonostante prima ci fossero state otto/nove band di qualsiasi altro genere. Ciliegina sulla torta: il bagno era glitterato e il wc si trovava tre o quattro scalini più in su rispetto al piano, a mo’ di trono. Mi pare ci fosse anche uno scettro.
L’aspetto più affascinante dei popoli indigeni?
La cosa che ci affascina maggiormente dei popoli indigeni e’ probabilmente la loro relazione ancestrale alla vita ed il legame che unisce le cose semplici alla spiritualità. Il rispetto per qualcosa di più grande e potente che sta alla base di tutta la creazione. Il loro essere radicati alla terra e al cielo più di quanto lo sia l’uomo moderno; loro ricordano ciò che noi stiamo dimenticando.
Questo concetto abbraccia ogni arte, la musica su tutte.
La canzone è un rituale, una richiesta, un ringraziamento.
Tutto è dedicato o riferito alla natura.
E’ curioso il COME questo si traduca in musica, nel senso compositivo del termine; l’uso di strumenti musicali “imperfetti” che portano poi all’utilizzo di scale totalmente differenti da quelle che siamo abituati a conoscere/studiare, la centralità di tutto ciò che è ritmo e -di conseguenza- la costruzione di un gusto sonoro che si colloca al di fuori di quello che possiamo chiamare “orecchio occidentale”.
Sono più cattive le sirene o le ninfe del fiume?
Beh… che le sirene siano cattive ce lo hanno insegnato i compagni di Ulisse a loro spese… In realtà tutto ciò che ha a che fare con l’elemento acqua ha una polarità, una dicotomia interna. Pensadoci bene però le ninfe del fiume sono più vicine alla sorgente, ad un’altitudine maggiore rispetto alle sirene che si trovano in acque salate e questo forse le rende più potenti…
Traendo le somme, è sempre meglio tenersi lontani dalle persone che posseggono una voce ingannevole.

L’ingrediente magico del vostro prossimo album?
Per fare bene una torta ci vogliono più ingredienti e per il disco su cui stiamo lavorando ne abbiamo messi parecchi. Credo però che la componente che rende questo ultimo progetto diverso dagli altri sia il tempo; abbiamo iniziato ad impastare anni fa, poi abbiamo aspettato che lievitasse il tutto per un periodo molto, molto lungo. Poi ancora a sporcarci le mani e aspettare di nuovo. Più e più volte. Ora sta cuocendo, quando sentiremo il profumo invadere la cucina, lo sforneremo.
Chi si occupa della grafica degli album?
Per l’apparato grafico ci lasciamo trasportare sempre dalle immagini e dai colori che hanno guidato la scrittura del disco in questione. Solo in un secondo momento affidiamo il lavoro in mano a terzi; facciamo loro ascoltare i pezzi e li accompagnamo nella comprensione del mondo che noi abbiamo individuato come possibile sfondo di quel racconto. Ci teniamo a commissionare questo compito a persone che conosciamo perché pensiamo che sia più agevole per loro addentrarsi nelle visioni labirintiche che la musica ci suggerisce, traducendo al meglio il nostro immaginario in qualcosa di concreto.
Thanks to Be Forest (Costanza, Nicola ed Erica) PH: from the world wide web FB@beforest3 IG@be_forest