Da Francesca Woodman a Gina Pane, il corpo come specchio dell’emancipazione

Imbattersi nell’arte dell’avanguardia femminista degli anni Settanta è un’operazione delicata ma quanto mai utile anche oggi, alla luce della riflessione che ancora investe il corpo della donna e la sua rappresentazione. Nella creatività portata alla luce dalle giovani outsider proprio in quegli anni, c’è la chiave per interpretare una nuova grammatica e un linguaggio fatto di simboli ed espressioni nuove, dove il corpo assume via via una funzione totalizzante e drammatica e da oggetto di desiderio sessuale diventa ricerca, autoriflessione e sperimentazione.

Ph: Francesca Woodman

La volontà comune è quella di decostruire l’immagine della donna vista dal punto di vista maschile, sottraendo ad essa quegli stereotipi, proiezioni e desideri che l’hanno ingabbiata per secoli, lasciandola così intatta nella sua nudità. Tra le fotografe e le performer che si sono distinte per la capacità di rilevare nella loro forza e crudeltà tutte le contraddizioni dell’animo umano, così come il rapporto tra l’individualità del sé e l’esterno, la fotografia di Francesca Woodman e la body art di Gina Pane hanno nel corpo il loro punto di partenza.

Francesca Woodman by George Lange

Le opere di Francesca Woodman furono realizzate nell’arco di nove anni, dal 1972 al 1981. Originaria del Colorado, ricevette a tredici anni la sua prima macchina fotografica in regalo, uno strumento che nel corso del tempo le permise di sentirsi libera, fuggendo alle convenzioni sociali e condividendo un’interiorità complessa, che non riuscirà mai ad essere etichettata. Oltre a sé stessa, nei suoi scatti compaiono anche l’amica e collaboratrice Sloan Rankin Keck e il compagno Benjamin Moore.

Ph: Francesca Woodman

I ritratti per lo più sono nudi femminili in bianco e nero, spesso con il volto sfocato e oscurato (un effetto ottenuto dalla Woodman grazie alla lunga esposizione), una tecnica che permise all’artista di creare la tipica fusione del corpo con l’ambiente. Some Disordered Interior Geometries è l’unica opera, una collezione di foto, che Francesca pubblica nel gennaio del 1981. Quello stesso mese, infatti, la sua carriera artistica si interrompe bruscamente a soli 22 anni, dal momento che la giovane si toglie la vita gettandosi dalla finestra di un loft, nell’East Side di New York.

In Some Disordered Interior Geometries l’artista interviene inserendo scatti e annotazioni all’interno di un manuale di geometria per studenti in italiano: Esercizi Graduati di Geometria. Francesca Woodman si confronta così con la dirompenza del corpo che dialoga con oggetti inanimati, una “natura morta” che si sovrappone come risposta a una serie di forme geometriche illustrate all’interno dell’opera di partenza. Sono proprio le geometrie che vengono ricreate dall’artista utilizzando la vitalità del corpo, ma anche gli spazi tra i mobili, le pareti e i pavimenti degli edifici.

Carta da parati scrostate, muri di case abbandonate che si mimetizzano con la sua nudità: lì dove il piacere si mescola al dolore e la sensualità si confonde con la durezza, Francesca Woodman dà voce alla sua immaginazione, perde sé stessa nella sua fisicità in rapporto al contesto, una metamorfosi che si ritrova nelle sue opere in bianco e nero e in piccolo formato, raccolte nei quaderni e nei diari. Insieme a lei, spesso protagonista negli scatti, lo spazio lo prendono la natura con foreste, uccelli e alberi, elementi di un racconto fatto di malinconia e tristezza, dove la divisione tra soggetto e oggetto lascia spazio a una trasformazione dal sapore surrealista, creando così una poetica unica nella storia della fotografia.   

Ph: Francesca Woodman

Il corpo può essere nell’arte anche il collegamento tra l’invisibile e ciò che è terreno e questo concetto lo ha espresso con una forza quanto mai rivelatrice Gina Pane, artista italo francese esponente della body art e scultrice che ha fatto del corpo uno strumento importante della sua ricerca artistica. Nata in Francia da padre italiano e madre austriaca, al centro della sua opera c’è sempre stata la riflessione sul divino, ma visto attraverso gli occhi dell’umana coscienza, quella fatta di sangue e di ossa.

Per comprenderne appieno lo spessore e la portata della sua rivoluzione artistica, è importante soffermarsi sull’intera ricerca, che nel corso degli anni si avvale di linguaggi differenti per indagare il rapporto intrinseco tra la natura e l’uomo. Se nella prima fase l’attenzione è sulle azioni dei fenomeni naturali con Dessin verrouillé (1968), Pierres deplacées (1968), Peche endeuillée (1968) e Stripe-Rake (1969), nella seconda fase della sua carriera artistica, il corpo femminile diventa una cassa armonica, attraverso cui l’artista comunica con il suo pubblico evocando l’esperienza della sofferenza condivisa.

Se in Il bianco non esisteGina Pane si ferisce il viso utilizzando una lametta,lì dove ogni ferita simboleggia un abuso subito da una donna ed ogni taglio diventa espressione di un dolore femminile condiviso, in “Azione Sentimentale” – la performance forse più conosciuta – l’artista indaga sul ruolo del martirio, ma anche sullo stereotipo che vede la donna indossare i panni di sposa, moglie e madre. L’azione si svolse nel 1973 nella Galleria Diagramma e a Parigi, al Centre Pompidou.

Gina Pane si presenta al suo pubblico, rappresentato da sole donne, vestita con completo bianco (chiaro rimando alla sposa cattolica) e in mano un mazzo di rose rosse e uno di rose bianche. Piano piano l’artista stacca le spine da ciascuna rosa e le conficca sul suo braccio, così da far fuoriuscire il sangue che macchia il bianco degli indumenti e il mazzo di rose rosse viene sostituito da fiori bianchi.  Ogni gesto all’interno della rappresentazione diventa un rituale, le spine sono il simbolo del tormento inflitto alle donne, mentre il corpo appare nella sua funzione rivelatrice: fragile e umano, su di esso si esprime tutta la violenza e l’aggressione di cui siamo ogni giorno vittime.

Francesca Woodman e Gina Pane sono due artiste accomunate da una ricerca che fa del proprio corpo un punto di partenza e la chiave espressiva per riflettere su di sé e sul limite imposto dalla sofferenza umana. Uno specchio che non spaventa, ma offre uno sguardo destrutturato e rivoluzionario con cui guardare il mondo e scardinare il linguaggio, sottolineando come i mezzi espressivi classici possano manifestarsi in tutta la loro inadeguatezza.


The body as a mirror of female emancipation, from Francesca Woodman to Gina Pane

Articolo di Greta Esposito
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